L’ulivo: il nome, la pianta, l’olio
L’olio è il dono prezioso di una pianta divenuta simbolo della civiltà mediterranea: l’olivo (o ulivo).
L’olivo o ulivo – il cui nome deriva dal latino olīvum e dal greco classico ἔλαιον (élaion) – è probabilmente una delle piante arboree coltivate da più tempo, insieme al fico e alla vite.
Mentre in sanscrito non esiste parola che indichi l’olivo e gli Assiri e i Babilonesi usavano solo olio di sesamo, l’olivo era invece conosciuto da popoli semitici come gli Armeni e gli Egiziani. Inoltre, nei libri dell’Antico Testamento l’olivo e l’olio di oliva sono spesso nominati: la colomba dell’arca, ad esempio, porta a Noè un ramo d’olivo: «e la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco una tenera foglia di ulivo» (Genesi, 8:11).
Sebbene Persiani, Assiri, Babilonesi e Nabatei non utilizzassero olive per ottenere olio e usassero invece olio di sesamo e di ricino, il codice babilonese di Hammurabi, del XVIII secolo a.C., contiene regole sulla produzione e il commercio dell’olio di oliva.
La legge numero 104, ad esempio, afferma: «Qualora un mercante dia ad un agente frumento, lana, olio, o qualunque altra merce da trasportare, l’agente dia una ricevuta per il valore, e compensi all’uopo il mercante. Quindi ottenga una ricevuta dal mercante per il denaro che gli dà».
E nella legge 178 leggiamo: «[…]; se poi suo padre muoia, allora i fratelli di lei terranno il suo campo e giardino, e le daranno frumento, olio, e latte in ragione della sua quota, […]».
Nell’Odissea – composta secondo alcuni durante il IX secolo a.C., anche se altri ritengono che sia nata intorno al 720 a.C. – l’olivo, probabilmente l’olivo selvatico, compare più volte.
La stanza nuziale di Odisseo e Penelope è stata costruita intorno a un ulivo florido e rigoglioso; e, tagliati i rami e il tronco a una certa altezza, il ceppo diviene la base del loro letto nuziale.
Inoltre, Odisseo acceca il ciclope con un palo di legno d’ulivo appuntito e indurito nel fuoco, il manico della scure datagli da Calipso e utilizzata per lavorare il legno destinato a costruire una zattera è di ulivo, bellissimo e infisso saldamente, e un ulivo è all’ingresso del porto di Itaca.
I termini ‘sait’, ‘zait’ e ‘zeit’ derivano da antichi termini semitici che indicano la pianta dell’olivo. Ancora oggi ‘zeitun’ è il termine arabo utilizzato in Nord Africa per indicare l’albero dell’olivo, ‘zaituna’ è termine presente in Sicilia e ‘aceite’ è la parola spagnola che indica l’olio
La pianta, ‘Olea europaea europaea’, è una pianta della famiglia delle Oleaceae, che comprende numerose sottospecie con tratti morfologici e origini geografiche differenti.
La filogenia dell’olivo è ancora incompleta e discussa. Secondo alcuni gli olivi coltivati hanno avuto origine a partire dall’oleastro (subspecie ‘europaea’) presente in diverse aree del bacino del Mediterraneo.
Alcuni ritengo che, nella subspecie ‘europaea’ si distinguano due varietà botaniche: la sativa o communis, che è la varietà domestica, coltivata, e la varietà ‘sylvestris’, cioè l’olivo selvatico o oleaster (comunemente indicato oleastro). Quest’ultima varietà cresce in luoghi rupestri e dai suoi minuscoli frutti si trae un olio amaro il cui uso è, però, sempre stato limitato.
La storia dell’olivo, della sua diffusione, della coltivazione e dei valori simbolici è ampia e articolata, e in alcuni casi confusa.
La patria di origine dell’olivo, secondo alcuni, è all’interno dell’area a sud del Caucaso o in Asia Minore dove, già intorno al 6.000 a.C., sarebbe stato coltivato l’olivo. E come si diffuse? Vediamo!
Nel prosieguo dell’articolo vedremo la storia dell’ulivo, e in particolare:
- La diffusione dell’ulivo nella parte Est del Mediterraneo
- La diffusione dell’ulivo nella parte Ovest del Mediterraneo e nel Sud Europa
- La diffusione dell’olivo in Africa del Nord e in Africa Nord-Occidentale
- Diffusione dell’olivo verso altre parti del mondo
- La coltivazione dell’olivo in Italia
Storia dell’ulivo: diffusione nella parte est del Mediterraneo
La coltivazione dell’olivo raggiunse la Palestina, dove la pianta dell’ulivo e l’olio furono considerati con grande rispetto – e il popolo ebraico, attraverso le proprie migrazioni, diffuse in Africa e in Italia la coltivazione dell’olivo e la stima per esso -, la Siria, l’Anatolia, l’Egitto, le isole dell’Egeo, la Grecia.
Scavi archeologici a Tel Mique Akron, non lontano da Tel Aviv, hanno portato alla luce un enorme impianto per la lavorazione delle olive, con quasi 100 presse e macine progettate dai Filistei, risalente al 1.000 a.C. circa.
In Siria, i Fenici tennero in grande considerazione l’olivo e i suoi frutti, e utilizzarono l’olio innanzitutto come unguento e, poi, per l’illuminaizone e per l’alimentazione.
Essi piantarono uliveti nelle proprie terre, e con i loro viaggi contribuirono ad allargarne la coltivazione. Furono probabilmente essi a portare l’ulivo nei paesi del Nord Africa e dell’Europa Meridionale; e in particolare furono i Fenici, oltre ai greci, a portare l’ulivo in Italia.
In Egitto, già prima dell’inizio della XIX dinastia (1300 a.C.), i rami dell’olivo adornavano le tombe dei faraoni.
L’olio fu utilizzato per la preparazione di profumi e di pomate, come condimento, per l’illuminazione e nei riti religiosi – l’unzione era segno di purificazione per chi si avvicinava alle statue degli dei o si preparava a effettuare un sacrificio -.
Tuttavia, in Egitto la coltivazione non si diffuse in modo notevole, forse a causa di fattori climatici avversi – solo nella regione del Nilo l’ulivo fu coltivato con successo -.
I Fenici portarono l’olivo a Cipro (XVI – XV sec. a.C.) e nelle isole dell’Asia Minore.
L’olivo fu coltivato nelle isole di Rodi, Samos e Delos; inoltre, venne coltivato a Mileto e in Licia.
È convinzione diffusa che l’ulivo fosse coltivato sull’isola di Creta durante l’era minoica (3.000 a.C. – 1.500 a. C.), e, sempre in tempi molto antichi, nelle isole Cicladi.
La coltivazione potrebbe essere iniziata anche prima, antecedentemente alla civiltà greca, durante il Paleolitico o il Neolitico (5000 – 10000 a.C.).
A Creta, nel palazzo di Cnosso, gli scavi hanno portato alla luce i depositi di grandi anfore, alte anche due metri, destinate alla conservazione dell’olio; e a Festo sono stati ritrovati resti di torchi, presse e tavolette d’argilla che riportano luoghi di produzione e destinazione dell’olio.
L’Attica e la pianura vicino ad Atene erano ricche di piante di olivo e, durante le feste Panatenee, gli atleti vincitori delle gare ricevevano anche anfore riccamente ornate contenenti olio proveniente dai frutti dell’uliveto che Solone aveva fatto piantare.
L’ulivo compare in un mito narrato dallo Pseudo Apollodoro che coinvolge la contesa per gli onori nell’Attica da parte di Atena e Poseidone:
“Cecrope, autoctono, che aveva un corpo misto di uomo e di serpente, regnò per primo sull’Attica e dal proprio nome chiamò Cecropia la terra prima detta Atte. Ai suoi tempi,dicono, sembrò opportuno agli dei occupare delle città, nelle quali intendevano avere ciascuno onori propri. Giunse dunque per primo nell’Attica Poseidon e avendo battuto (un colpo) con il tridente in mezzo all’acropoli fece apparire il mare che ora chiamano Eretteide. Ma dopo di lui giunseAtena e avendo reso Cecrope testimone dell’occupazione piantò un ulivo che tuttora è visibile nel Pandroseion. Ed essendo nata una lite tra i due riguardo al territorio, ad Atenae a Poseidon, dopo averli separati, Zeus assegnò come giudici non, come dissero alcuni, Cecrope e Kranaos, né Erisicthon, ma i dodici dei. E in base al verdetto di costoro il territorio fu giudicato di Atena, avendo Cecrope testimoniato che per prima aveva piantato l’ulivo. Atena dunque in base al proprio nome chiamò Atene la città, e Poseidon spinto all’ira inondò la piana Triasia e sommerse l’Attica" (Ps. Apollod. Bibl. 3.178-9).
Storia dell’ulivo: diffusione nel Mediterraneo Occidentale e nel Sud Europa
In Sicilia, probabilmente grazie alle colonie greche, la coltivazione dell’olivo era presente nel VII secolo a.C., mentre in Sardegna furono forse i Fenici a portare la coltura dell’olivo.
In Etruria, nel corso del terzo quarto del VII sec. a.C. inizia la produzione di olio – oltre che di vino -, come è attestato dai vasi destinati a contenere olio che si trovano frequentemente nei corredi tombali di età alto e medio-arcaica.
I Romani entrarono in contatto con l’olivo probabilmente attraverso le colonie greche, come testimonia la vicinanza del nome ‘olea’ al greco ἔλαιον (élaion).
I Romani diedero particolare importanza all’uso alimentare dell’olio, che presso gli altri popoli era normalmente apparso secondario.
Grazie ai Romani, i processi di coltivazione, spremitura delle olive e conservazione dell’olio migliorarono, e la diffusione dell’ulivo giunse fino ai territori del nord Europa.
Inoltre, i romani defnirono diverse tipologie di olio, in funzione del momento della spremitura: “oleum ex albis ulivis”, ottenuto dalla spremitura di olive verdi; “oleum viride”, da olive raccolte ad uno stadio più avanzato di maturazione; “oleum maturum”, da olive mature; “oleum caducum”, da olive cadute a terra; “oleum cibarium”, ricavato da olive quasi passite.
Dato che non vi erano trattamenti particolari atti a conservare l’olio, esso diveniva rancido molto rapidamente; l’unica soluzione era quindi salarlo.
Nel ‘Liber de agricultura’ o ‘De re rustica’, Marco Porcio Catone, nato a Tusculum nel 234 a.C., scrive: «olea ubi lecta siet, oleat fiat in continuo, ne corrumpatur», cioè: «appena raccolte, bisogna subito estrar l’olio dalle olive, per evitare che si sciupi».
E prosegue:
«Cogitato quotannis tempestates magnas venire, et oleam dejicere solere. Si cito sustuleris et vasa parata erunt, damni nihil erit ex tempestate et olea viridis et melius fiat. Si in terra et tabulato olea nimium diu erit, putescet, oleum fetidum fiet: ex quavis olea oleum viridius et bonum fieri potest, si tempori facies» (libro III,2-4),
cioè:
«Per evitare che riscaldi, bisogna subito estrarre l’olio dalle olive, appena raccolte. Pensa alle intemperie grandi che ogni anno avvengono e sogliono far cadere le olive. Se fai presto la raccolta, e i recipienti sono pronti, nessun danno viene da esse, mentre l’olio sarà più verde e migliore. Se rimangono troppo a terra o su un tavolato, le olive cominciano a putrefare e l’olio avrà cattivo odore».
Le indicazioni di Catone sono di fondamentale importanza anche oggi. Gli oli migliori sono ottenuti raccogliendo le olive prima che cadano e spremendole olive entro poco tempo – talvolta addirittura entro 12 ore – dal momento della raccolta.
Durante il I° secolo d.C. Lucio Giunio Moderato Columella, nel suo secondo trattato De re rustica, un completo trattato di tecnica ed economia agricola, scrive che «La coltivazione di qualunque albero è più semplice di quella della vite, e fra tutte le piante l quella che richiede spesa minore è l’olivo, che tiene tra esse il primo posto» (Libro V, Capitolo 8, 1-3) («Omnis tamen arboris cultus simplicior quam vinearum est longeque ex omnibus stirpibus minorem inpensam desiderat olea, quae prima omnium arborum est»).
L’evoluzione della coltivazione dell’olivo in Spagna è di difficile ricostruzione.
Secondo alcuni studiosi essa è debitrice ai Fenici, mentre altri ritengono che sia stata introdotta dagli Arabi.
In Portogallo, la coltivazione dell’olivo si diffuse più lentamente.
Storia dell’ulivo: diffusione dell’olivo in Africa del Nord e in Africa Nord-Occidentale
La diffusione della coltivazione dell’olivo in Nord Africa fu introdotta dai Romani con il duplice fine di assicurare la fornitura di olio a Roma e di rendere sedentarie le popolazioni nomadi che facevano incursioni nei territori dell’Impero.
La diffusione nell’Africa Nord-Occidentale, invece, secondo alcuni autori è dovuta ai Fenici (fra XIV e XII sec. a.C.); altri ritengono che siano stati i Greci, fra VIII e VII sec. a.C.).
Storia dell’ulivo: Diffusione dell’olivo verso altre parti del mondo
Nel XVI secolo l’olivo fece rotta verso il Nuovo Mondo.
La pianta arrivò in Argentina nel 1556, in Perù nel 1560, in Messico nel 1567.
Circa due secoli più tardi – nel 1769 – arrivò in California.
Più recentemente. l’olivo ha raggiunto l’Australia, il Sud Africa, il Giappone, la Nuova Zelanda, la Cina, l’India, il Pakistan e altri Paesi.
Uno sguardo alla coltivazione dell’olivo in Italia
Verso la fine dell’Impero Romano, complici guerre, abitudini diverse dei popoli che arrivavano dal Nord e variazioni climatiche sfavorevoli, la coltura dell’olivo diminuì considerevolmente.
Durante l’alto medioevo l’ulivo rimase confinato principalmente all’interno dei monasteri.
Solo intorno al 1.000 d.C. la coltura dell’olivo riprese nuova forza, e i primi impulsi furono dati proprio dalle comunità monastiche, anche per il valore simbolico dell’olio.
A testimonianza del valore simbolico dell’ulivo e dell’olio, derivante dalle qualità della pianta e dei suoi frutti, troviamo alcune parole di Tommaso d’Aquino che, nella Summa Teologica, scrive:
«Le proprietà dell’olio che sono il simbolo dello Spirito Santo si trovano nell’olio di oliva più che in qualunque altro olio. Per cui lo stesso olivo sempre verde significa la forza e la misericordia dello Spirito Santo. Inoltre l’olio d’oliva è l’olio propriamente detto, ed è il più usato dove è reperibile. Ogni altro olio poi è detto olio a somiglianza di questo, e non è di uso comune se non come un surrogato presso coloro che sono sprovvisti dell’olio d’oliva. Di conseguenza si usa solo quest’olio nella confermazione e in altri sacramenti» (IIIª q. 72 a. 2 ad 3).
Durante l’epoca dei comuni la vita nelle campagne si fece meno precaria anche grazie a nuove forme di contratto più vantaggiose, rispetto al passato, per i contadini. Nel corso del XIII secolo la popolazione aumentò, e si moltiplicarono gli scambi.
Tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV in Italia iniziano a delinearsi due tipi di costumi alimentari: al Nord, anche per l’influenza di popolazioni del Nord Europa, si prediligono grassi animali, mentre al Sud si consuma prevalentemente olio di oliva.
Durante il Rinascimento l’olivo fu tra i protagonisti dell’agricoltura. Il governo mediceo a Firenze diede impulso all’olivicoltura, concedendo gratuitamente grandi estensioni di terreno collinare a chi decidesse di coltivare l’olivo.
Il Seicento italiano, anche a causa delle guerre, fu un secolo difficile per la coltivazione dell’ulivo.
Nel corso del Settecento si iniziarono a catalogare l’ulivo e i suoi frutti, classificandoli in funzione della provenienza geografica.
L’olio italiano, considerato fra i migliori per uso alimentare, raggiunse Francia, Inghilterra e altri paesi europei.
La graduale trasformazione dell’economia da agrario-commerciale in industriale nel corso di Ottocento e Novecento e la prima guerra mondiale, durante la quale si impiegò il legno degli ulivi per sostituire il carbone nelle industrie, generarono un quadro complessivamente negativo per l’olio di oliva.
Nel Novecento, durante il dopoguerra e nel corso del boom economico, l’olio fu considerato con scarso interesse dal punto di vista nutrizionale. All’olio, ritenuto un alimento povero, vennero preferiti i “ricchi" grassi animali.
Oggi, l’olio è stato notevolmente rivalutato. L’olio extra vergine di oliva è tornato a essere un elemento importante della dieta sia per le caratteristiche organolettiche sia per i nutrienti contenuti e per i benefici per la salute dell’olio evo.
Il Italia sono coltivate diverse varietà di olivo; vi sono varietà di olivo tipiche dell’Italia Settentrionale, varietà di olivo tipiche dell’Italia Centrale, varietà tipiche dell’Italia Meridionale e varietà caratteristiche della Sicilia o della Sardegna.